venerdì 6 maggio 2011

Lassù qualcuno mi amò

e niente. Che altro sarebbe dovuto accadere? Che curvassi? Ma neanche nella fantascienza. Fortuna che era una mattina troppo bella, con un'aria fresca e carica di energia perchè qualcosa di doloroso potesse accadere così presto. Mi feci coraggio: "il destino veglia sugli arditi!" pensai, "e poi per farmi male, c'è ancora tutto il tempo". Ma non è che ci credessi tanto... Feci un grande respiro d'incoraggiamento e l'ossigeno che incamerai mi riaccese in parte il cervello. "Ma certo!" d'improvviso compresi. Non sarebbe stata nella tecnica che avrei trovato la salvezza ma in una forza assai più possente anche se di rado presente: il culo! o insomma, per dirla in maniera un po' più nobile, la fortuna.

Ora avevo uno strategico piano d'attacco, basato sulla più completa casualità, vero, ma non per questo non sarebbe potuto essere vincente. Si trattava di essere ottimisti! o... meglio, ancora una volta, far leva sulla fede.

La curva si avvicinava. Non c'era più tempo per pianificare e l'incombenza ormai esigeva di agire prima di pensare (questa la dedico a Mosco ;) Armato di una volontà quasi sovrumana, con la mente coordinata con tutto il resto del corpo, imposi agli sci di curvare, con una tale fermezza che mai si sarebbero potuti rifiutare. Ed obbedirono! Anche se fu come far curvare un tram stortandone i binari...

Ben piantato sulle lamine, perchè la prima cosa che impari nello sci è come restare fermo e quando l'hai capito, difficilmente l'abbandoni, cominciai a spingere sullo sci esterno e nello stesso tempo ad allargarlo, cercando di scaricare il più possibile il peso dallo sci interno nella vana speranza che tutto questo, unito allo zampettino della buona sorte, mi facesse finire qualche metro più in basso invece che incontro, come dire, ad una specie di traumatica morte. Il tutto, ovviamente, si sarebbe dovuto svolgere con grazia ed una certa leggiadria di movimento. Pensai che fosse implicito, che non necessitasse d'essere precisato. Ma mi sbagliavo. Necessitava. E tanto.

L'idea di base c'era tutta: si spinge sullo sci esterno e per ragioni che in quel momento sentivo più vicine alla fede che alla fisica, si curvava. La manovra non richiedeva particolari accorgimenti, eccezione fatta per una fede incrollabile. Ma qualcosa mi doveva essere sfuggito, un qualcosa poi di neanche così piccolo visto che, a conti fatti, la manovra funzionò solo a metà. E la metà in questione era lo sci sul quale avevo caricato il più possibile il peso, ovvero lo sci esterno, il quale, con somma diligenza, aveva cominciato il suo cammino verso la curva. Quello che invece era indietro, inspiegabilmente ma forse perchè offeso, aveva continuato imperterrito il suo cammino dritto. Mi ritrovai così nel mezzo di due forze convergenti e come è facile intuire, non è che ci stessi proprio proprio bene.

La questione, sul momento, comunque non mi parve dovesse destare particolari problemi. Ma mi sbagliavo. Ed una vocina "articolare" si fece carico di farmelo notare:

"voglio una stanza singola con televisione. E le infermiere in gonna bianca, possibilmente corta".

Non ci fu neanche bisogno che mi chiedessi quale parte del mio corpo mi stesse parlando perchè il ginocchio della gamba interna, cominciando una torsione assolutamente non prevista dalla natura umana, con un dolore straziante mi suggerì da solo la risposta. In meno di un secondo, i problemi si destarono tutti!

La famosa unità di intenti era andata a farsi friggere. Vi era una metà di me che bramava di scendere a valle (e sulla quale io sinceramente avevo puntato tutte le mie speranze) mentre vi era l'altra metà che di abbandonare il rettilineo, non se la sentiva per niente. Nel mezzo, compresso in una invisibile morsa, c'era quel poco che restava di me.

Le punte si incrociarono in un baleno, le articolazioni scricchiolarono sinistramente ed io, preso ormai da panico ospedaliero, feci la sola cosa che la capoccia ti dice di fare in quei momenti: mi allontanai velocemente dal pericolo! In qualunque circostanza questo ti può anche salvare la vita. Ma nello sci, non è mai una cosa saggia...

Donare la libertà si dice essere il regalo più bello che si possa fare. Ma se doni la libertà ai tuoi sci, credimi, ti puoi solo ammazzare.

Col peso tutto all'indietro gli sci furono liberi di andare un po' dove volevano e visto che ormai una certa direzione l'avevano già presa, non fecero altro che proseguire il loro cammino. Da qualche parte, in qualche luogo, probabilmente non molto lontano da lì, traumatologia mi stava già aspettando.

Ma non potevo cedere così facilmente ad un destino che pareva già segnato! In un impeto di ribellione, come Sansone tra le colonne, facendo forza con le sole gambe cominciai a ruotare su sè stesso lo sci interno. Malgrado avesse la lama ben conficcata nella neve, il maledetto, centimetro dopo centimetro, cominciò a spostarsi e in un tempo che mi parve infinito, mi ritrovai in curva e con gli sci paralleli! Nella manovra mi sarò portato dietro qualche quintale di neve e di certo avrò spostato l'asse terrestre ma poco importava, la prima famosa mezza curva era fatta. Il resto... solo una passeggiata.

Riacquistai rapidamente l'assetto, riportai il peso in avanti e grazie ad una derapata disumana conclusi la curva e mi scelsi un buon posto al tavolo degli eroi. Ma non feci neanche in tempo ad adagiarmi sugli allori che un pino mi si parò subito davanti. "Di già??" La curva fatta con non proprio tutta 'sta gran grazia mi fece acquistare una velocità non indifferente ed ora mi ritrovavo a dover affrontare gli stessi problemi di prima... ma in tempi molto più stretti. "Non c'è problema", pensai, e mi lanciai. Invece il problema c'era...

Questa volta spinto da uno spirito di innovazione e di scoperta aprii entrambi gli sci e caricai nuovamente il peso su quello esterno. Ma non cambiò molto. Sentii nuovamente i due sci avvicinarsi e le ginocchia quasi toccarsi. Il ginocchio esterno colse l'occasione e gridò a quello interno: "digli che le vuoi in minigonna! digli che le vuoi in minigonna!" Le punte degli sci si incrociarono e ancora come prima, optai - in extremis - per la forza bruta piuttosto che per un azzardo di tecnica. Più sorretto dalla dea bendata che dalla consapevolezza di quello che stessi facendo, i due sci si ritrovarono di nuovo paralleli. Riacquistai l'assetto, riposizionai il peso e con una derapata al fulmicotone conclusi nuovamente la curva. Anche questa era andata. Ma questa volta non ci arrivai neppure al tavolo degli eroi perchè l'immancabile pino mi sbarrò subito la strada. Ad ogni curva, era inesorabile, acquistavo velocità. Ed ormai, per le capacità sciistiche che possedevo, ero l'equivalente di un proiettile umano! Ma manco per il cavolo che mi persi d'animo...

Invocai l'aiuto del Signore e mi preparai a compiere le errate manovre. Perchè ormai di giusto non era rimasto più nulla. Aprii gli sci, caricai di nuovo il peso su quello esterno, accettai che si incrociassero e cominciai a compiere la procedura che ormai sentivo collaudata. Non avevo dubbi, jela avrei fatta! ...ma mancai di considerare la variabile velocità. Perchè ciò che più o meno riesci a fare ad una certa velocità, non è mica detto che ti riesca sei vai giusto un po' più veloce. Ed io evidentemente non me la sentii di controvertire questa regola...

Iniziai la curva. La velocità accentuava le torsioni e con esse il dolore, ma non era quello il problema principale. Curvai. Perchè il difficile ora non era quello. In curva ci entrai, ma il problema era che nello stesso tempo non smisi mica di andare dritto! Ero in una direzione che in effetti mi stava portando in basso ma ero anche in un direzione che mi stava portando avanti. E il risultato di quell'impasto direzionale mi avrebbe di nuovo incoraggiato a far parte della flora del posto. I pini gioirono. Traumatologia si riallertò. Io, al solito, mi vedevo già morto...

Con tutta la forza che avevo in corpo mi piazzai sulle lame e con una derapata che spostò di qualche metro la montagna vidi il mio amore per i pini ritrovare lentamente una più umana distanza. L'avevo scampata! Ed ormai preda dell'euforia quanto della follia affrontai con la grazia di un kamikaze il resto delle curve che mi restava. Arrivai a fondo valle con la mente invasa da uno scroscio di applausi e sollevai le braccia al cielo in segno di saluto e sostegno alla folla che mi acclamava. In realtà, tutto quello che trovai fu un braccio teso con un indice che mi indirizzava. Puntava verso un gruppo già nutrito di personcine. Una voce mi classificò: principiante. Finalmente anche io... ero stato selezionato.

Il mio nuovo gruppo di appartenenza sciistica contava tra le sue fila un paio di fanciulle dedite alla lussuria ed al vilipendio per qualunque morale cristiana (le adorai sin dal primo istante), un fanciullo che poco più avanti seppi lavorare in banca, un signore ombroso in volto ma solare nell'anima ed un gagliardo, che nel corpo e nella mente era più un camoscio che un umano. Feci un cenno di saluto globale. Una mano mi si piazzò davanti: "piacere, Roberto".

Stava per nascere un mito...

sabato 16 aprile 2011

Into the diagonal

Sciare fondamentalmente non è complesso. Basta non curvare. Ok, è vero, qualcuno potrebbe obbiettare che allora quello non è sciare, ma per chi non è capace l'accontentarsi è un sentimento con il quale si impara molto bene a convivere. Ed essere in diagonale, tranquilli, morbidi, colmando quello che ogni volta si spera essere l'infinita distanza che separa una sponda dall'altra, è sciare. Basta accontentarsi. Ed io ero felicissimo di stare sulla mia bella diagonale. Tranquillo. Quasi soddisfatto. Peccato che le diagonali hanno quello stramaledetto vizio di finire...

La diagonale viene vista da chi non sa sciare come l'intervallo tra un infarto e quello successivo. Così si capisce, quando ci si è sopra, perchè si vorrebbe che non finisse mai. E' un momento di grande preparazione interiore, tutto orientato a trovare il coraggio necessario a buttare gli sci a valle prima che un tronco di pino fornisca una visione tutta diversa di questo sport. Dalla gioia alla traumatologia... sono attimi.

Le mie conoscenze in campo sciistico erano: tenere il peso in avanti, stare piegati, pregare. Eccetto l'ultima, il perchè queste cose avrebbero dovuto influire sulla volontà propria degli sci di andare sempre e comunque in una direzione, e cioè dritti! non mi era per nulla chiaro. Ma visto che la scienza non mi veniva in soccorso, astutamente aderii ad un pensiero, come dire, religioso e decisi di fare un atto di fede e credere a chi mi diceva che tutte quelle cose lì servivano proprio per curvare. Ed io le facevo! Certo, non in maniera consona, ma diamine, le facevo. Ed i risultati infatti si vedevano. Non ho mai preso un pino.

Ora, mi trovavo lì, su una pendenza che una volta presa non concedeva ripensamenti, circondato da file di pini affettuosi che non desideravano altro che di abbracciarmi. Una miriade di occhi erano su di me, la maggior parte dei quali in attesa che accadesse qualcosa di disastroso, perchè quando non sai fare una cosa trai una malsana gioia nel vedere gli altri fallire nel provarci. Ti fa sentire meglio. E' un sentimento che non si può schiacciare. Ed io, in fatto di risollevare gli altri grazie ad un mio fallimento ne faccio quasi un motivo di orgoglio. Insomma, è un qualcosa che mi riesce abbastanza bene.

Questi pensieri non potevano che donarmi uno stato di grande serenità. "M'ammazzo", pensai. E visto che la prima curva si avvicinava, probabilmente non avevo tutti i torti...

Basta! Era necessario entrare in un'ottica bellico sportiva. Se guerra doveva essere, avrei venduto cara la mia pelle. I rudimenti teorici li avevo tutti, almeno quelli sufficienti a farmi credere di avere dei rudimenti teorici. Ora non restava altro che applicarli. Forza e coraggio! ma prima, due righe di preghiera...

La tecnica impone: prima di ogni curva, piegarsi, appoggiare il bastoncello, distendersi con vigore e, quando si è compiuta mezza curva, riabbassarsi e schiacciare gli sci con tutto il proprio peso. Questo chiuderà la curva e vi getterà nell'Olimpo degli dei. A me però, in tutta questa storia, è sempre mancato il passaggio che dovrebbe collegare il momento in cui ci si solleva a quello in cui gli sci arrivano sino alla famosa mezza curva, raggiunta la quale, schiacciandosi, la si dovrebbe chiudere. Perchè se scendendo dolcemente da una pista, cominciate a pistonare con tutta la foga che avete in corpo, vi posso assicurare che per quanto vi eleviate al cielo o per quanto vi schiacciate al suolo, gli sci, dalla loro traiettoria, non si sposteranno di un solo cm! Ammetto che ogni volta che si affronta una nuova cosa, ad un certo punto, inevitabilmente si cade nel baratro che separa la teoria dalla pratica. Ma è anche vero che un principiante, come poco poco comincia a muoversi, è già sull'orlo di quel baratro. Ed io non facevo certo eccezione. La pista era ormai finita ed un pino m'attendeva. Ma era decisamente troppo grosso per pensare che sarebbe stato un felice incontro. Agii con prontezza! Mi schiacciai, mi sollevai e...

martedì 5 aprile 2011

Vai!

La selezione aveva luogo su una piccola pista, facile, in cima alla quale si arrivava grazie ad una seggiovia. Il che non era niente male perchè chiunque abbia mai sciato, anche una solta volta, sa perfettamente quanto più comoda e rilassante sia la seggiovia rispetto allo skilift, per il semplice fatto che da una seggiovia si presuppone non si possa cadere. Su uno skilift, questa certezza diviene pura preghiera.

L'affitto di sci e scarponi comporta sempre una certa perdita di tempo così arrivai al punto di incontro che il gruppo era già formato e pronto ad iniziare la prima salita. Noi principianti eravamo facili da individuare perchè avevamo tutti lo stesso sguardo disperso e sulle labbra un tremolio costante. Che non era paura ma un bisogno inconscio di pregare. Io, che in fatto di percezioni di eventi sciagurosi sono sempre un poco avanti, cominciai il mio avvicinamento al divino già in negozio quando ancora non avevo infilato del tutto il primo scarpone. Arrivai alla seggiovia praticamente in una catarsi religiosa e in coda verso la prima salita cominciai con una nenia che nelle intenzioni, credo, volesse essere una specie di rosario ma che nella realtà doveva sembrare una sorta di possessione demoniaca. Sulla seggiovia chiesi la remissioni dei miei peccati al vicino ma come risposta ebbi solo: "ti tiro giù se ti avvicini" che un po' bruscamente mi spense ogni ardore religioso.

In cima alla pista ci disposero in file, e quello fu il solo caso in cui gli ultimi era tanto un bene che restassero ultimi. Io, malgrado ebbi gran cura di mettermi in coda al gruppo nella salita, mi ritrovai nel mezzo di una fila. Qualcosa da qualche parte non aveva funzionato. Le file erano disposte ai bordi della pista. Nel mezzo ci stava un accompagnatore CAI che, a turno, dava il via al primo di una delle file. "Vai", era il comando. E l'omino si lanciava. Io cominciai a sudare...

Alla fine della pista, l'omino in questione, subiva la famosa selezione: in base alla tecnica dimostrata finiva con un istruttore o con un altro. Io, la sola cosa a cui riuscivo a pensare era di non finire contro un albero. Quando gli omini davanti a me cominciavano a scarseggiare e l'inevitabile si stava per presentare, cominciai un serio dialogo con le parti del mio corpo che più di altre avrebbero dovuto compiere miracoli quel giorno: "piedi, gambe, ginocchia, bacino, tronco, braccia, testa... quando è tempo di curvare, a unisono!" L'idea di base era semplice: se curva tutto il corpo, anche gli sci avrebbero dovuto curvare. Se anche una sola parte del corpo non avesse partecipato alla curva, è sicuro che gli sci l'avrebbero seguita. Gli sci curvano solo se c'è una forte integrità di intenti.  Come logica mi parve avere la sua efficacia. Ora però mi toccava dimostrarla.

"Vai", mi suggerì una voce.

"Chi, io?"

"Vai!", ripetè.

Andai...

venerdì 25 marzo 2011

La prima domenica (ovvero, è giunta la mia ora?)

Il viaggio in pulman non sarebbe neanche malvagio se la notte in bianco e l'ora troppo mattutina non portassero con sè gli inevitabili scompensi. Ma se anche ad uno riuscissi a porre rimendio, magari assumendo una tonnellata di valium, per l'altro non avrei alcuna speranza. Occorreva comunque alzarsi, tanto valeva non pensarci.

Il pulman CAI faceva la sosta colazione ad un'ora in cui il popolo italiano era ancora in gran parte tra le braccia di Morfeo. Adoravo quella sosta perchè oltre a consentirmi di inglobare cappuccino e brioche, serviva a spezzare la monotia del viaggio che, oltre nello spirito, ti incrocchiava nel corpo. Scendere, fare quattro passi, assolvere una consuetudine fisiologica e reintegrare subito i liquidi sotto forma di cappuccino, era un sogno al quale nessuno avrebbe rinunciato. Se non fai soste il tuo solo pensiero è arrivare il prima possibile. Se fai una sosta... e non ripartire mai! Al bar ci si ricordava dello sci solo perchè si era vestiti in maniera alquanto strana, non era carnevale e fuori faceva un tanticello troppo freddo. Erano solo questi tre elementi, ogni volta, a tenerci ancorati alla realtà.

Il mio primo pensiero, una volta giunto a destinazione, era sempre lo stesso: trovare dove affittavano sci e scarponi. La mia illogica costanza in questa dispendiosa pratica credo mi abbia portato, nel corso degli anni, ad aver raggiunto un tale livello di demenza da poter essere paragonato a chi ancora crede che in Berlusconi vi sia un solo grammo di innocenza. La spesa raggiunta in questi anni è stata tale che, con ogni tranquillità, avrei potuto comprarmi l'intera attrezzatura nuova! Più una villa a Camogli.

La prima volta che misi gli sci fu al liceo. La seconda, diversi anni dopo. E questo ritmo intenso di pratica sportiva fu mantenuto per i non pochi anni che seguirono. Mentre guardavo le piste non potevo non pensare che una tale esperienza sciistica era la base sulla quale avrei poggiato le ore a seguire. Deglutii. E visto che faceva un poco freddo, ne approfittai e mi strinsi un po' più dentro quel presagio di morte che mi aveva appena avvolto. Visto che c'era...

La conoscenza dell'attrezzatura più o meno ricalcava quella dello sport che rappresentava: le bacchette servivano a spingersi quando si era in piano, gli sci a farsi del male quando non si era in piano e gli scarponi, due tagliole assassine avvinghiate ai piedi, a darti quell'aria giusto un poco goffa quando si camminava. Altri utilizzi, sino a quel momento, non ne avevo scoperti.

La prima giornata del corso sci CAI prevedeva la selezione. Naturale, pensai io, perchè visto il numero dei partecipanti, tutti vivi alla fine non si poteva arrivare...

Fin quando non hai gli scarponi ai piedi e gli sci in mano, l'inconsapevolezza mista ad incoscienza, a volte quasi spavalderia, sono i sentimenti con i quali hai più a che fare. Ma una volta inforcati gli scarponi e, con non pochi sforzi, messi in spalla gli sci, cercando di evitare che ad ogni passo si aprano uccidendo il bimbo che ti sta passando di fianco... l'aria spavalda e speranzosa che alla fine si, cosa vuoi che sia 'sto sci, scompare totalmente lasciando negli occhi dei poveri avventori la consapevolezza che un rito macabro si sarebbe di lì a poco consumato: la tua fine. Chi ancora riusciva a mantenere accesa una flebile luce di speranza, in un moto di ipocrisia disumana, si attaccava disperatamente a qualunque forma di religione, anche la più occulta. Io ovviamente, ero tra questi...

Il primo attacco dello scarpone allo sci era rappresentativo del famoso detto "avere un piede nella fossa". Il difficile era, per l'intera giornata, impedire che ci entrasse anche il resto del corpo. Un piedino ci poteva stare. Era accettato anche perchè inevitabile. Ma il resto del corpo no, quello nella fossa proprio non ci doveva andare. Ed era con questo spirito di serenità interiore che ci accingiavamo tutti a cominciare quella bellissima prima giornata...

mercoledì 23 marzo 2011

Alle 4:00 (sharp!)

Ero ad una conferenza su non so cosa la prima (ed unica volta) che impattai con questo termine inglese: sharp. Ricordo davvero poco di quella giornata, nè come ci finii nè come finì. Ricordo solo che ci andai con una fanciulla verso la quale provavo una più che giusta adorazione. E questo potrebbe in effetti suggerire qualcosina riguardo alle motivazioni per le quali mi trovavo lì.

Ero assorto in uno stato contemplativo tutto preso ad incamerare il maggior numero di nozioni che quella conferenza così abbondantemente elargiva quando, tutto d'un tratto, il mio stato di assorbimento intellettuale, che per soli insignificanti aspetti era assimilabile a quello di morte apparente, deve aver subito un improvviso scossone, portandomi da un livello di coma ad uno giusto un poco più presente.

"In punto".

Due occhi felini mi squadrarono per un istante mentre una voce distaccata ma angelica si prodigava ad inserirmi nuova nozione nella cavesa. Sarà che ero appena tornato da uno stadio di forte concentrazione, sarà che la fanciulla proprio quel giorno decise di mettere una gonnellina sbarazzina (che di certo non aiuta l'attenzione), ma io lì per lì non collegai bene i due avvenimenti. Valutata bene la situazione comunque decisi che non fosse il caso di dare sfoggio della mia intelligenza e produrmi in un trogloditico "ehhh???" così assunsi un'espressione di seria comprensione e, guardandola dritta negli occhi, a labbra strette e sguardo meditativo, in sincrono con un singolo assenso della capoccia ci piazzai un astuto mugolio che ben si presta in queste occasioni.

Come mio solito, ma a ben vedere anche peggio del mio solito (ma solo perchè il ricordo della gonnellina aveva monopolizzato buona parte della mia capacità elaborativa) ci impiegai un numero disumano di ore per comprendere cosa la fanciulla mi avesse detto e cioè che sharp, in inglese, significa "in punto". E la sveglia CAI, la domenica mattina, doveva essere necessariamente messa alle 4:00. Sharp!

Capii subito come affrontare la cosa ed escogitai un piano bellico di sveglia che non brillava magari per intelligenza ma in quanto ad efficacia non lo batteva nessuno! Non dormivo. Mi è geneticamente impossibile riuscire a prendere sonno se so che mi devo svegliare ad un'ora così assassina. Semplicemente resto lì, a letto, ad attendere vigile il suono della sveglia. Non mi riesce di addormentarmi e siccome sono un ottimista per natura, so che non mi riuscirà mai. Ed un disadattato dissociato invertebrato come me ha un solo modo di passare una nottata sveglio: in chat.

All'epoca chattavo da fanciulla, perchè richiede uno sforzo minore in termini di aspettative. Ad una fanciulla, in chat, si dà subito un credito di intelligenza. A priori. Un fanciullo invece la deve dimostrare. Sempre. Ma per quanto le ore notturne non abbiamo mai scalfitto un neurone delle mie facoltà intellettive, anzi, caso mai le migliorano, il dover comunque dimostrare qualcosa reca sempre un certo livello di affaticamento. E fu così che per ozio della zucca, mi trasformai in fanciulla.

Tra le molte chat di quel periodo che comunque, malgrado la mia spiccata indole femminile, poco si distaccavano dai soliti rituali delle mie stesse al maschile, ovvero insulti, anatemi e auguri di morte di ogni tipo, più spesso che con altre mi trovavo a chattare, sino a tarda serata, con una moglie mamma di due bimbi. Per spirito di aggregazione, mi sembrò carino che anch'io avessi due bimbi piccini. E così, mi ritrovai mamma...

Non era raro che ci scambiassimo simpatici aneddoti sulla nostra progenie, racconti di birbonate, birichinate e di quei piccoli gesti che, se commessi dal proprio bimbo, diventano per una madre un qualcosa di infinitamente ilare. Per me quelli erano i momenti più difficili perchè, devo ammetterlo, non è che sia proprio una scienza in fatto di bimbi e quelle, per fortuna, poche volte che non potevo esimermi dal raccontare anch'io qualcosa, più che parlare della realtà, mi sembrava ogni volta di dover varcare le porte della fantascienza. Io, che se vedo un bimbo di due anni lo posso con tutta tranquillità scambiare per uno di sei, in quel periodo mi devo essere espresso in un tale bestiario di inettitudini educative che quella povera mamma avrà di certo pensato che fossi una alcolizzata, cocainomane e con un sicuro passato di meretrice. Se poi ci aggiungiamo un dichiarato atteggiamento saffico... il quadro era davvero completo :|

Il pulman CAI sostava davanti al McDonald's di Loreto in un'ora in cui i baldi giovani concludevano una magnifica nottata mentre noi ci apprestavamo a cominciarne un'altra. Io più o meno stavo nel mezzo.

La puntualità era d'obbligo e l'imbarco rapido. L'attrezzatura andava posta negli appositi spazi sotto il pulman. Sci da una parte, scarponi dall'altra. Gli umani di sopra. Anche se a me di umano, una volta sul pulman, restava ben poco. Il sonno ormai aveva rotto gli argini innondandomi la mente di un torpore tale da lasciarmi attive solo le funzioni cerebrali più primitive, la più urgente delle quali era dormire. Con la mia ridotta capacità motoria ed uno sguardo che lasciava intendere una affinità intima con l'alcolismo, cercavo il posto che meglio mi ispirasse tranquillità e mi ci piazzavo sopra nella speranza che uno stato di incoscienza totale mi rapisse e mi riportasse su quel pulman quando ormai gran parte del viaggio era andato. Il che non accadeva mai! In verità, lo stato in cui piombavo era in effetti quello che meglio di altri mi rappresentava, ovvero di semi subnormalità intellettiva con rapidi passaggi tra il dormiveglia e le allucinazioni. E questa agonia non faceva altro che aumentare notevolmente la pesantezza del viaggio perchè avere sonno e non riuscire a dormire è molto peggio di non riuscire a dormire perchè non si ha sonno.

Le prime luci dell'alba, unite al fatto che cominciavo a vedere il mio vicino di posto come una enorme tazzina da capuccino, erano le prime avvisaglie che di lì a poco ci sarebbe stata la tanto agognata sosta colazione, che rappresentava definitivamente la fine della nottata e l'inizio di una nuova giornata.

Ma questa è un'altra storia e noi voltiamo pagina.

giovedì 17 marzo 2011

Un giorno da CAI (ovvero, come tutto ebbe inizio...)

Mi trovavo nel mezzo del cammin di nostra vita, incerto sul divenire ma senza alcun dubbio sul divenuto. Con lo sguardo teso in avanti, il panorama che mi si presentava sembrava essere il riflesso di ciò che avevo dietro. "Qui è necessario un cambiamento! mi dissi, "imparo a sciare." Ora, quali fossero le ragioni che mi spinsero verso una tale scelta, ancora oggi le ignoro completamente. Ciò che invece non ignoravo ma che anzi avevo ben chiaro nella mente era che a ben altre necessità di cambiamento avrei dovuto dare ampissima precedenza e che una logica di scelta, se mai vi fosse stata, senza ombra di dubbio mi avrebbe collocato nel mondo della tossicodipendenza. A mio sostegno però posso dire che in quel momento devo aver dato maggiore importanza alla sostanza piuttosto che alla forma. Era necessario un cambiamento. Perchè non quello?

Risolto il primo punto della questione, ovvero cosa cambiare, restava da affrontare il difficile compito di come realizzare tale cambiamento. La mia conoscenza della montagna, sino a quel momento, era alquanto approssimativa o, per dirla in una maniera più concreta, era scolastica, poco applicata. Sapevo dell'esistenza di monti e catene varie. Sapevo, per esempio, che vi erano un Monte Bianco ed uno un po' più estroverso che era rosa. Anche Alpi e Appennini erano concetti ben assimilati, ma la vita che lì sopra si consumava era un traguardo sul quale la mia capoccia non si era mai adeguatamente soffermata. Si richiedeva un salto evolutivo niente male e, una volta tanto, visto che si trattava di montagna, era verso l'alto. Il destino stava lavorando bene...

Cominciai un serio censimento cerebrale alla ricerca di qualunque informazione che nel corso degli anni si fosse insinuata nel capoccio e che avesse una qualche minima attinenza con la montagna ed il solo nome che ne uscì fu "Club Alpino Italiano". Confesso di aver ripescato anche "Alpitour" e "Touring Club", ma un minimo di cognizione di causa ha provveduto ad una giusta selezione.

Il piano fu portato a compimento! ora non restava che realizzarlo...

Il primo impatto col mondo CAI, più che un senso di crescita me ne donò uno di perdita: pagai. La stagione sciistica si prospettava promettente ed in sede c'erano fermento e concitazione per l'apertura delle iscrizioni ai corsi. Io, come mio solito, ammetto di non esserci andato con una adeguata preparazione psicologica e malgrado avessi inteso che era necessario recarsi in sede per espletare le dovute beghe burocratiche, non mi spinsi a chiedere esattamente a quanto sarebbe ammontato l'intero esborso monetario. Tra l'iscrizione ad un club privato e quella ad un corso di sci, il tutto, quanto sarebbe stato?

Com'è d'obbligo in questi casi, quando non si ha la ben che minima idea di quello a cui si sta andando incontro, deliri di natura sociale - a tratti quasi parrocchiale - è il minimo che ti possa capitare. E più ci si avvicina alla meta più le convinzioni divengono certezze. Già appena uscito di casa, cominciò il mio delirio:

"ma si, che vuoi che sia, è un ente che vuole promuovere la conoscenza e l'amore per la montagna. Non è mica una roba a scopo di lucro."

Appena entrato in metropolitana ebbi il primo ricaro di ottimismo e cominciai a pensare ad eventuali donazioni, ma solo nel caso in cui mi fossi trovato veramente bene. All'altezza del Duomo invece avevo già sviluppato un iniziale progetto per la raccolta fondi a favore del CAI. Ma fu solo sulle scale dello stabile, mentre salivo per raggiungere la sede, che il delirio ebbe il suo culmine completo. In preda a stati divinatori avevo già risolto i problemi di 15 comunità montane e come un moderno mecenate ora mi stavo accingendo a prestare il mio aiuto ad un povero ente benefico che me ne stava facendo richiesta. Entrai.

"Buongiorno, vorrei iscrivermi al corso di sci".

"Sa già tutto?" mi chiese una gentile signora.

"No".

"Le passo allora il programma completo".

E pure i moduli per le donazioni, baby, pensai.

Il programma era molto chiaro e con delle belle uscite. Di nome, quelle località, le conoscevo quasi tutte e questo era sufficiente a collocarle alla voce "posti famosi". Il che non era male. Se montagna doveva essere, non guastava mica che fosse montagna famosa e magari fighettosa. Almeno così avrei espanso le mie possibilità di conversazione anche ai monti.

C'era scritto tutto: il necessario da portare per effettuare l'iscrizione, le varie raccomandazioni, la durata delle lezioni, information di varia naturation e... e... MINCHIA... il costo. Un decadimento sociale cominciò ad insinuarsi nella mente. Le ombre del delirio, che solo pochi attimi prima erano padrone di ogni mio neurone, stavano rapidamente sparendo regalandomi un'immagine che ancora oggi, pensando a quel momento, sento molto vicina: Umberto D, il personaggio dell'omonimo film di De Sica che, a manina tesa, sul marciapiede, chiede le elemosina. Improvvisamente da mecenate ero tornato nella mia condizione naturale: un barbone.

Devo però ammettere che, essere cittadino italiano, in quel comunque ferale momento mi è stato di grande aiuto. Aduso alla pratica pagatoria non mi scossi più di tanto e malgrado la cifra rivendicasse il santo diritto di condurmi alla pazzia, rimasi lo stesso del tutto impassibile. Quasi glaciale. Fuori. Dentro invece qualche infarto e scompenso neurologico li devo aver avuti. Ma niente di che. Dopotutto... sopravvissi.

Bene! L'iscrizione era fatta, il cuore infartuato ma impavido, l'ardore caldo ma... la sveglia a che ora?