venerdì 6 maggio 2011

Lassù qualcuno mi amò

e niente. Che altro sarebbe dovuto accadere? Che curvassi? Ma neanche nella fantascienza. Fortuna che era una mattina troppo bella, con un'aria fresca e carica di energia perchè qualcosa di doloroso potesse accadere così presto. Mi feci coraggio: "il destino veglia sugli arditi!" pensai, "e poi per farmi male, c'è ancora tutto il tempo". Ma non è che ci credessi tanto... Feci un grande respiro d'incoraggiamento e l'ossigeno che incamerai mi riaccese in parte il cervello. "Ma certo!" d'improvviso compresi. Non sarebbe stata nella tecnica che avrei trovato la salvezza ma in una forza assai più possente anche se di rado presente: il culo! o insomma, per dirla in maniera un po' più nobile, la fortuna.

Ora avevo uno strategico piano d'attacco, basato sulla più completa casualità, vero, ma non per questo non sarebbe potuto essere vincente. Si trattava di essere ottimisti! o... meglio, ancora una volta, far leva sulla fede.

La curva si avvicinava. Non c'era più tempo per pianificare e l'incombenza ormai esigeva di agire prima di pensare (questa la dedico a Mosco ;) Armato di una volontà quasi sovrumana, con la mente coordinata con tutto il resto del corpo, imposi agli sci di curvare, con una tale fermezza che mai si sarebbero potuti rifiutare. Ed obbedirono! Anche se fu come far curvare un tram stortandone i binari...

Ben piantato sulle lamine, perchè la prima cosa che impari nello sci è come restare fermo e quando l'hai capito, difficilmente l'abbandoni, cominciai a spingere sullo sci esterno e nello stesso tempo ad allargarlo, cercando di scaricare il più possibile il peso dallo sci interno nella vana speranza che tutto questo, unito allo zampettino della buona sorte, mi facesse finire qualche metro più in basso invece che incontro, come dire, ad una specie di traumatica morte. Il tutto, ovviamente, si sarebbe dovuto svolgere con grazia ed una certa leggiadria di movimento. Pensai che fosse implicito, che non necessitasse d'essere precisato. Ma mi sbagliavo. Necessitava. E tanto.

L'idea di base c'era tutta: si spinge sullo sci esterno e per ragioni che in quel momento sentivo più vicine alla fede che alla fisica, si curvava. La manovra non richiedeva particolari accorgimenti, eccezione fatta per una fede incrollabile. Ma qualcosa mi doveva essere sfuggito, un qualcosa poi di neanche così piccolo visto che, a conti fatti, la manovra funzionò solo a metà. E la metà in questione era lo sci sul quale avevo caricato il più possibile il peso, ovvero lo sci esterno, il quale, con somma diligenza, aveva cominciato il suo cammino verso la curva. Quello che invece era indietro, inspiegabilmente ma forse perchè offeso, aveva continuato imperterrito il suo cammino dritto. Mi ritrovai così nel mezzo di due forze convergenti e come è facile intuire, non è che ci stessi proprio proprio bene.

La questione, sul momento, comunque non mi parve dovesse destare particolari problemi. Ma mi sbagliavo. Ed una vocina "articolare" si fece carico di farmelo notare:

"voglio una stanza singola con televisione. E le infermiere in gonna bianca, possibilmente corta".

Non ci fu neanche bisogno che mi chiedessi quale parte del mio corpo mi stesse parlando perchè il ginocchio della gamba interna, cominciando una torsione assolutamente non prevista dalla natura umana, con un dolore straziante mi suggerì da solo la risposta. In meno di un secondo, i problemi si destarono tutti!

La famosa unità di intenti era andata a farsi friggere. Vi era una metà di me che bramava di scendere a valle (e sulla quale io sinceramente avevo puntato tutte le mie speranze) mentre vi era l'altra metà che di abbandonare il rettilineo, non se la sentiva per niente. Nel mezzo, compresso in una invisibile morsa, c'era quel poco che restava di me.

Le punte si incrociarono in un baleno, le articolazioni scricchiolarono sinistramente ed io, preso ormai da panico ospedaliero, feci la sola cosa che la capoccia ti dice di fare in quei momenti: mi allontanai velocemente dal pericolo! In qualunque circostanza questo ti può anche salvare la vita. Ma nello sci, non è mai una cosa saggia...

Donare la libertà si dice essere il regalo più bello che si possa fare. Ma se doni la libertà ai tuoi sci, credimi, ti puoi solo ammazzare.

Col peso tutto all'indietro gli sci furono liberi di andare un po' dove volevano e visto che ormai una certa direzione l'avevano già presa, non fecero altro che proseguire il loro cammino. Da qualche parte, in qualche luogo, probabilmente non molto lontano da lì, traumatologia mi stava già aspettando.

Ma non potevo cedere così facilmente ad un destino che pareva già segnato! In un impeto di ribellione, come Sansone tra le colonne, facendo forza con le sole gambe cominciai a ruotare su sè stesso lo sci interno. Malgrado avesse la lama ben conficcata nella neve, il maledetto, centimetro dopo centimetro, cominciò a spostarsi e in un tempo che mi parve infinito, mi ritrovai in curva e con gli sci paralleli! Nella manovra mi sarò portato dietro qualche quintale di neve e di certo avrò spostato l'asse terrestre ma poco importava, la prima famosa mezza curva era fatta. Il resto... solo una passeggiata.

Riacquistai rapidamente l'assetto, riportai il peso in avanti e grazie ad una derapata disumana conclusi la curva e mi scelsi un buon posto al tavolo degli eroi. Ma non feci neanche in tempo ad adagiarmi sugli allori che un pino mi si parò subito davanti. "Di già??" La curva fatta con non proprio tutta 'sta gran grazia mi fece acquistare una velocità non indifferente ed ora mi ritrovavo a dover affrontare gli stessi problemi di prima... ma in tempi molto più stretti. "Non c'è problema", pensai, e mi lanciai. Invece il problema c'era...

Questa volta spinto da uno spirito di innovazione e di scoperta aprii entrambi gli sci e caricai nuovamente il peso su quello esterno. Ma non cambiò molto. Sentii nuovamente i due sci avvicinarsi e le ginocchia quasi toccarsi. Il ginocchio esterno colse l'occasione e gridò a quello interno: "digli che le vuoi in minigonna! digli che le vuoi in minigonna!" Le punte degli sci si incrociarono e ancora come prima, optai - in extremis - per la forza bruta piuttosto che per un azzardo di tecnica. Più sorretto dalla dea bendata che dalla consapevolezza di quello che stessi facendo, i due sci si ritrovarono di nuovo paralleli. Riacquistai l'assetto, riposizionai il peso e con una derapata al fulmicotone conclusi nuovamente la curva. Anche questa era andata. Ma questa volta non ci arrivai neppure al tavolo degli eroi perchè l'immancabile pino mi sbarrò subito la strada. Ad ogni curva, era inesorabile, acquistavo velocità. Ed ormai, per le capacità sciistiche che possedevo, ero l'equivalente di un proiettile umano! Ma manco per il cavolo che mi persi d'animo...

Invocai l'aiuto del Signore e mi preparai a compiere le errate manovre. Perchè ormai di giusto non era rimasto più nulla. Aprii gli sci, caricai di nuovo il peso su quello esterno, accettai che si incrociassero e cominciai a compiere la procedura che ormai sentivo collaudata. Non avevo dubbi, jela avrei fatta! ...ma mancai di considerare la variabile velocità. Perchè ciò che più o meno riesci a fare ad una certa velocità, non è mica detto che ti riesca sei vai giusto un po' più veloce. Ed io evidentemente non me la sentii di controvertire questa regola...

Iniziai la curva. La velocità accentuava le torsioni e con esse il dolore, ma non era quello il problema principale. Curvai. Perchè il difficile ora non era quello. In curva ci entrai, ma il problema era che nello stesso tempo non smisi mica di andare dritto! Ero in una direzione che in effetti mi stava portando in basso ma ero anche in un direzione che mi stava portando avanti. E il risultato di quell'impasto direzionale mi avrebbe di nuovo incoraggiato a far parte della flora del posto. I pini gioirono. Traumatologia si riallertò. Io, al solito, mi vedevo già morto...

Con tutta la forza che avevo in corpo mi piazzai sulle lame e con una derapata che spostò di qualche metro la montagna vidi il mio amore per i pini ritrovare lentamente una più umana distanza. L'avevo scampata! Ed ormai preda dell'euforia quanto della follia affrontai con la grazia di un kamikaze il resto delle curve che mi restava. Arrivai a fondo valle con la mente invasa da uno scroscio di applausi e sollevai le braccia al cielo in segno di saluto e sostegno alla folla che mi acclamava. In realtà, tutto quello che trovai fu un braccio teso con un indice che mi indirizzava. Puntava verso un gruppo già nutrito di personcine. Una voce mi classificò: principiante. Finalmente anche io... ero stato selezionato.

Il mio nuovo gruppo di appartenenza sciistica contava tra le sue fila un paio di fanciulle dedite alla lussuria ed al vilipendio per qualunque morale cristiana (le adorai sin dal primo istante), un fanciullo che poco più avanti seppi lavorare in banca, un signore ombroso in volto ma solare nell'anima ed un gagliardo, che nel corpo e nella mente era più un camoscio che un umano. Feci un cenno di saluto globale. Una mano mi si piazzò davanti: "piacere, Roberto".

Stava per nascere un mito...

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