sabato 16 aprile 2011

Into the diagonal

Sciare fondamentalmente non è complesso. Basta non curvare. Ok, è vero, qualcuno potrebbe obbiettare che allora quello non è sciare, ma per chi non è capace l'accontentarsi è un sentimento con il quale si impara molto bene a convivere. Ed essere in diagonale, tranquilli, morbidi, colmando quello che ogni volta si spera essere l'infinita distanza che separa una sponda dall'altra, è sciare. Basta accontentarsi. Ed io ero felicissimo di stare sulla mia bella diagonale. Tranquillo. Quasi soddisfatto. Peccato che le diagonali hanno quello stramaledetto vizio di finire...

La diagonale viene vista da chi non sa sciare come l'intervallo tra un infarto e quello successivo. Così si capisce, quando ci si è sopra, perchè si vorrebbe che non finisse mai. E' un momento di grande preparazione interiore, tutto orientato a trovare il coraggio necessario a buttare gli sci a valle prima che un tronco di pino fornisca una visione tutta diversa di questo sport. Dalla gioia alla traumatologia... sono attimi.

Le mie conoscenze in campo sciistico erano: tenere il peso in avanti, stare piegati, pregare. Eccetto l'ultima, il perchè queste cose avrebbero dovuto influire sulla volontà propria degli sci di andare sempre e comunque in una direzione, e cioè dritti! non mi era per nulla chiaro. Ma visto che la scienza non mi veniva in soccorso, astutamente aderii ad un pensiero, come dire, religioso e decisi di fare un atto di fede e credere a chi mi diceva che tutte quelle cose lì servivano proprio per curvare. Ed io le facevo! Certo, non in maniera consona, ma diamine, le facevo. Ed i risultati infatti si vedevano. Non ho mai preso un pino.

Ora, mi trovavo lì, su una pendenza che una volta presa non concedeva ripensamenti, circondato da file di pini affettuosi che non desideravano altro che di abbracciarmi. Una miriade di occhi erano su di me, la maggior parte dei quali in attesa che accadesse qualcosa di disastroso, perchè quando non sai fare una cosa trai una malsana gioia nel vedere gli altri fallire nel provarci. Ti fa sentire meglio. E' un sentimento che non si può schiacciare. Ed io, in fatto di risollevare gli altri grazie ad un mio fallimento ne faccio quasi un motivo di orgoglio. Insomma, è un qualcosa che mi riesce abbastanza bene.

Questi pensieri non potevano che donarmi uno stato di grande serenità. "M'ammazzo", pensai. E visto che la prima curva si avvicinava, probabilmente non avevo tutti i torti...

Basta! Era necessario entrare in un'ottica bellico sportiva. Se guerra doveva essere, avrei venduto cara la mia pelle. I rudimenti teorici li avevo tutti, almeno quelli sufficienti a farmi credere di avere dei rudimenti teorici. Ora non restava altro che applicarli. Forza e coraggio! ma prima, due righe di preghiera...

La tecnica impone: prima di ogni curva, piegarsi, appoggiare il bastoncello, distendersi con vigore e, quando si è compiuta mezza curva, riabbassarsi e schiacciare gli sci con tutto il proprio peso. Questo chiuderà la curva e vi getterà nell'Olimpo degli dei. A me però, in tutta questa storia, è sempre mancato il passaggio che dovrebbe collegare il momento in cui ci si solleva a quello in cui gli sci arrivano sino alla famosa mezza curva, raggiunta la quale, schiacciandosi, la si dovrebbe chiudere. Perchè se scendendo dolcemente da una pista, cominciate a pistonare con tutta la foga che avete in corpo, vi posso assicurare che per quanto vi eleviate al cielo o per quanto vi schiacciate al suolo, gli sci, dalla loro traiettoria, non si sposteranno di un solo cm! Ammetto che ogni volta che si affronta una nuova cosa, ad un certo punto, inevitabilmente si cade nel baratro che separa la teoria dalla pratica. Ma è anche vero che un principiante, come poco poco comincia a muoversi, è già sull'orlo di quel baratro. Ed io non facevo certo eccezione. La pista era ormai finita ed un pino m'attendeva. Ma era decisamente troppo grosso per pensare che sarebbe stato un felice incontro. Agii con prontezza! Mi schiacciai, mi sollevai e...

martedì 5 aprile 2011

Vai!

La selezione aveva luogo su una piccola pista, facile, in cima alla quale si arrivava grazie ad una seggiovia. Il che non era niente male perchè chiunque abbia mai sciato, anche una solta volta, sa perfettamente quanto più comoda e rilassante sia la seggiovia rispetto allo skilift, per il semplice fatto che da una seggiovia si presuppone non si possa cadere. Su uno skilift, questa certezza diviene pura preghiera.

L'affitto di sci e scarponi comporta sempre una certa perdita di tempo così arrivai al punto di incontro che il gruppo era già formato e pronto ad iniziare la prima salita. Noi principianti eravamo facili da individuare perchè avevamo tutti lo stesso sguardo disperso e sulle labbra un tremolio costante. Che non era paura ma un bisogno inconscio di pregare. Io, che in fatto di percezioni di eventi sciagurosi sono sempre un poco avanti, cominciai il mio avvicinamento al divino già in negozio quando ancora non avevo infilato del tutto il primo scarpone. Arrivai alla seggiovia praticamente in una catarsi religiosa e in coda verso la prima salita cominciai con una nenia che nelle intenzioni, credo, volesse essere una specie di rosario ma che nella realtà doveva sembrare una sorta di possessione demoniaca. Sulla seggiovia chiesi la remissioni dei miei peccati al vicino ma come risposta ebbi solo: "ti tiro giù se ti avvicini" che un po' bruscamente mi spense ogni ardore religioso.

In cima alla pista ci disposero in file, e quello fu il solo caso in cui gli ultimi era tanto un bene che restassero ultimi. Io, malgrado ebbi gran cura di mettermi in coda al gruppo nella salita, mi ritrovai nel mezzo di una fila. Qualcosa da qualche parte non aveva funzionato. Le file erano disposte ai bordi della pista. Nel mezzo ci stava un accompagnatore CAI che, a turno, dava il via al primo di una delle file. "Vai", era il comando. E l'omino si lanciava. Io cominciai a sudare...

Alla fine della pista, l'omino in questione, subiva la famosa selezione: in base alla tecnica dimostrata finiva con un istruttore o con un altro. Io, la sola cosa a cui riuscivo a pensare era di non finire contro un albero. Quando gli omini davanti a me cominciavano a scarseggiare e l'inevitabile si stava per presentare, cominciai un serio dialogo con le parti del mio corpo che più di altre avrebbero dovuto compiere miracoli quel giorno: "piedi, gambe, ginocchia, bacino, tronco, braccia, testa... quando è tempo di curvare, a unisono!" L'idea di base era semplice: se curva tutto il corpo, anche gli sci avrebbero dovuto curvare. Se anche una sola parte del corpo non avesse partecipato alla curva, è sicuro che gli sci l'avrebbero seguita. Gli sci curvano solo se c'è una forte integrità di intenti.  Come logica mi parve avere la sua efficacia. Ora però mi toccava dimostrarla.

"Vai", mi suggerì una voce.

"Chi, io?"

"Vai!", ripetè.

Andai...