giovedì 17 marzo 2011

Un giorno da CAI (ovvero, come tutto ebbe inizio...)

Mi trovavo nel mezzo del cammin di nostra vita, incerto sul divenire ma senza alcun dubbio sul divenuto. Con lo sguardo teso in avanti, il panorama che mi si presentava sembrava essere il riflesso di ciò che avevo dietro. "Qui è necessario un cambiamento! mi dissi, "imparo a sciare." Ora, quali fossero le ragioni che mi spinsero verso una tale scelta, ancora oggi le ignoro completamente. Ciò che invece non ignoravo ma che anzi avevo ben chiaro nella mente era che a ben altre necessità di cambiamento avrei dovuto dare ampissima precedenza e che una logica di scelta, se mai vi fosse stata, senza ombra di dubbio mi avrebbe collocato nel mondo della tossicodipendenza. A mio sostegno però posso dire che in quel momento devo aver dato maggiore importanza alla sostanza piuttosto che alla forma. Era necessario un cambiamento. Perchè non quello?

Risolto il primo punto della questione, ovvero cosa cambiare, restava da affrontare il difficile compito di come realizzare tale cambiamento. La mia conoscenza della montagna, sino a quel momento, era alquanto approssimativa o, per dirla in una maniera più concreta, era scolastica, poco applicata. Sapevo dell'esistenza di monti e catene varie. Sapevo, per esempio, che vi erano un Monte Bianco ed uno un po' più estroverso che era rosa. Anche Alpi e Appennini erano concetti ben assimilati, ma la vita che lì sopra si consumava era un traguardo sul quale la mia capoccia non si era mai adeguatamente soffermata. Si richiedeva un salto evolutivo niente male e, una volta tanto, visto che si trattava di montagna, era verso l'alto. Il destino stava lavorando bene...

Cominciai un serio censimento cerebrale alla ricerca di qualunque informazione che nel corso degli anni si fosse insinuata nel capoccio e che avesse una qualche minima attinenza con la montagna ed il solo nome che ne uscì fu "Club Alpino Italiano". Confesso di aver ripescato anche "Alpitour" e "Touring Club", ma un minimo di cognizione di causa ha provveduto ad una giusta selezione.

Il piano fu portato a compimento! ora non restava che realizzarlo...

Il primo impatto col mondo CAI, più che un senso di crescita me ne donò uno di perdita: pagai. La stagione sciistica si prospettava promettente ed in sede c'erano fermento e concitazione per l'apertura delle iscrizioni ai corsi. Io, come mio solito, ammetto di non esserci andato con una adeguata preparazione psicologica e malgrado avessi inteso che era necessario recarsi in sede per espletare le dovute beghe burocratiche, non mi spinsi a chiedere esattamente a quanto sarebbe ammontato l'intero esborso monetario. Tra l'iscrizione ad un club privato e quella ad un corso di sci, il tutto, quanto sarebbe stato?

Com'è d'obbligo in questi casi, quando non si ha la ben che minima idea di quello a cui si sta andando incontro, deliri di natura sociale - a tratti quasi parrocchiale - è il minimo che ti possa capitare. E più ci si avvicina alla meta più le convinzioni divengono certezze. Già appena uscito di casa, cominciò il mio delirio:

"ma si, che vuoi che sia, è un ente che vuole promuovere la conoscenza e l'amore per la montagna. Non è mica una roba a scopo di lucro."

Appena entrato in metropolitana ebbi il primo ricaro di ottimismo e cominciai a pensare ad eventuali donazioni, ma solo nel caso in cui mi fossi trovato veramente bene. All'altezza del Duomo invece avevo già sviluppato un iniziale progetto per la raccolta fondi a favore del CAI. Ma fu solo sulle scale dello stabile, mentre salivo per raggiungere la sede, che il delirio ebbe il suo culmine completo. In preda a stati divinatori avevo già risolto i problemi di 15 comunità montane e come un moderno mecenate ora mi stavo accingendo a prestare il mio aiuto ad un povero ente benefico che me ne stava facendo richiesta. Entrai.

"Buongiorno, vorrei iscrivermi al corso di sci".

"Sa già tutto?" mi chiese una gentile signora.

"No".

"Le passo allora il programma completo".

E pure i moduli per le donazioni, baby, pensai.

Il programma era molto chiaro e con delle belle uscite. Di nome, quelle località, le conoscevo quasi tutte e questo era sufficiente a collocarle alla voce "posti famosi". Il che non era male. Se montagna doveva essere, non guastava mica che fosse montagna famosa e magari fighettosa. Almeno così avrei espanso le mie possibilità di conversazione anche ai monti.

C'era scritto tutto: il necessario da portare per effettuare l'iscrizione, le varie raccomandazioni, la durata delle lezioni, information di varia naturation e... e... MINCHIA... il costo. Un decadimento sociale cominciò ad insinuarsi nella mente. Le ombre del delirio, che solo pochi attimi prima erano padrone di ogni mio neurone, stavano rapidamente sparendo regalandomi un'immagine che ancora oggi, pensando a quel momento, sento molto vicina: Umberto D, il personaggio dell'omonimo film di De Sica che, a manina tesa, sul marciapiede, chiede le elemosina. Improvvisamente da mecenate ero tornato nella mia condizione naturale: un barbone.

Devo però ammettere che, essere cittadino italiano, in quel comunque ferale momento mi è stato di grande aiuto. Aduso alla pratica pagatoria non mi scossi più di tanto e malgrado la cifra rivendicasse il santo diritto di condurmi alla pazzia, rimasi lo stesso del tutto impassibile. Quasi glaciale. Fuori. Dentro invece qualche infarto e scompenso neurologico li devo aver avuti. Ma niente di che. Dopotutto... sopravvissi.

Bene! L'iscrizione era fatta, il cuore infartuato ma impavido, l'ardore caldo ma... la sveglia a che ora?

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